Articolo inviato al Direttore di Avvenire e pubblicato sul quotidiano Domenica 2 gennaio 2022.
Caro Direttore,
le parole di papa Francesco per la giornata mondiale della pace “nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti” mi riportano alla preghiera all’Angelus di giorni fa perché “le tensioni intorno all’Ucraina siano risolte attraverso un serio dialogo internazionale e non con le armi”. I decisori politici dovrebbero riscoprire la forza potente del dialogo, che è alla base di ogni civile convivenza. Per l’Ucraina il tempo è ora. La tensione tra Nato e Russia è infatti giunta a livelli preoccupanti e pericolosi.
Il dialogo permette di capire le ragioni altrui, scoprendo spesso che non sono né banali né infondate. La questione ucraina dovrebbe essere affrontata innanzitutto nell’interesse dell’Ucraina. Gli interessi europeo, russo o atlantico, pur rimanendo il motore delle scelte politiche, dovrebbero rimanere sfumati. Nell’immediato essi appaiono infatti antitetici e inconciliabili, alimentando la crisi piuttosto che la soluzione. Dalla logica dell’interesse di parte è indispensabile passare alla priorità dell’interesse del paese in crisi che, in prospettiva, potrebbe anche rappresentare un interesse comune, data l’interdipendenza che comunque esiste tra Ue/Occidente e Russia e che sarebbe insano riportare alla cortina di ferro del secolo scorso, con una Cina che non rimarrebbe indifferente.
La situazione dell’Ucraina dovrebbe aiutarci a ripensare le relazioni internazionali nei contesti di tensione che riguardano paesi a cavallo tra due aree geopolitiche in competizione economica, politica e culturale, divisi all’interno e nei rapporti esterni. I paesi-cerniera dovrebbero essere accettati come sono – cerniera, appunto – e visti come possibile elemento di collegamento e dialogo tra blocchi politici, senza spingerli a scelte di campo laceranti o portatrici di timori destabilizzanti. L’Ucraina ha un piede ad ovest e l’altro ad est, in una duplice e contrapposta tensione. Potrebbe più facilmente garantire la propria unità territoriale, la convivenza delle diverse nazionalità, il proprio sviluppo radicato nella storia con aree sia europee che russe, con ampie collaborazioni sia ad ovest che ad est, non diventando membro della Nato né dell’Ue né dell’Unione eurasiatica trainata dalla Russia ma vivendo una neutralità attiva riconosciuta, aperta a rapporti politici, economici, culturali con entrambe le entità. Converrebbe in prospettiva anche a tutti i paesi confinanti ed al rafforzamento della stabilità e della pace in tutta l’area.
Se l’Ucraina continuerà ad essere considerata terra di conquista europeo-atlantica o russa, per interessi che rimangono tra loro contrapposti e inconciliabili, sarà difficile ogni soluzione pacifica della crisi, che tenderà anzi a crescere, con ripercussioni globali. Un’Ucraina neutrale e aperta a cooperazioni a trecentosessanta gradi potrebbe perfino rappresentare un punto magnetizzante tra Ue/Occidente e Russia e potrebbe rafforzarne il rapporto politico e la fiducia reciproca. Le crisi tendono a moltiplicarsi. Occorre quindi uno sforzo di creatività politica, che sappia ripensare le relazioni ed inventare e codificare nuove forme di convivenza tra stati, regioni, alleanze, in particolare nelle aree di confine per renderle fattore di cooperazione piuttosto che di divisione. Non è nell’interesse immediato dell’Ucraina un cammino di adesione ad alleanze euroatlantiche o euroasiatiche. Mentre è interesse di tutti che l’Ucraina possa, mantenendo la propria integrità territoriale e la plurale convivenza della comunità, rimanere aperta a rapporti politici ed economici ed a cooperazioni con entrambe le parti, a partire dai paesi più vicini.
L’Ue e l’Italia, in particolare, hanno la cultura politica per proporre forme nuove di convivenza pacifica, nell’attuale complessità del mondo, che non si basino sull’opzione ‘o con me o contro di me’, né sugli interessi di parte, né su fantasiose minacce militari o opinabili sanzioni, ma su principi nuovi che tendano ad impedire le ferite, le morti, le distruzioni, le disperazioni che le crisi irrisolte producono con la guerra. Una politica che non crede più nella forza del dialogo e nell’iniziativa diplomatica è una politica cieca, senza speranza, senza futuro.
Pubblicato su AVVENIRE 2 Gennaio 2022
Ripreso da OnuItalia
Rivisto per Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo 19 Gennaio 2022