SCAMBIO DI PENSIERI SU GAZA, ISRAELE, MANIFESTAZIONI E PIAZZE

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Written by Nino Sergi

23 Ottobre 2025

Questo scambio è avvenuto su facebook tra il 3 e il 12 ottobre 2025. Cecilia, Alberto ed io siamo stati colleghi nella sede confederale della CISL alla fine del secolo scorso, condividendo molte iniziative internazionali o su problematiche internazionali. Lo scambio di opinioni evidenzia una forte divergenza nella valutazione sia della spropositata reazione di Israele al crimine di Hamas del 7 ottobre 2023, sia delle mobilitazioni che in Italia, come in tutto il mondo, si sono moltiplicate.

Nino Sergi, 3 ottobre 2025

La mia Cisl – in cui sono cresciuto, anni fa, dalla fabbrica a ruoli di responsabilità – ha sempre avuto ‘talenti’ di valore, che l’hanno resa grande, grazie alla loro azione e alle grandi sfide che hanno saputo affrontare di fronte ai cambiamenti in ogni settore e di fronte ai cambiamenti a livello internazionale. Non sono più attivo, da anni, ma l’impressione è che di questi tempi si tenda a conservare sotto terra talenti che i 4 milioni di iscritti esprimono, ora come allora, con la loro voglia di farli fruttare (proprio come suggerisce la parabola evangelica). Autonomia di giudizio, attente e intelligenti valutazioni, capacità di lettura quotidiana insieme a visioni lunghe, capacità di dialogo, aperto, fatto di parola e di ascolto, coraggio, anche di fronte alle sfide più grandi, per esserci, per tentare di viverle, sapendo di avere le capacità di affrontarle, a partire dalle ingiustizie e dalle offese alla dignità umana, sono state e saranno sempre, anche ora, caratteristiche della Cisl. I talenti da mettere a frutto! – Ora, le 100 piazze, con le centinaia di migliaia di giovani, adulti, anziani che le hanno riempite e continueranno a riempirle finché continueranno i massacri di civili stremati, sarebbero state ancora più belle con anche le bandiere Cisl. Che avrei volentieri portato.

Cecilia Brighi, 6 ottobre

Caro Nino, penso che tu stia sbagliando. Penso che la CISL abbia fatto bene a distinguersi dalla deriva che ha colpito la sinistra italiana e parte del sindacato. Sicuramente centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza colpite dalla brutalità di Netanyahu e del suo esercito, nei confronti della popolazione palestinese inerme. Ma nel corso di questi ultimi mesi si è velocemente dimenticato chi sono i responsabili che hanno permesso alla destra estremista israeliana di attaccare con tutta la violenza possibile. Parlo del barbaro massacro, degli stupri di massa usati come arma di guerra il 7 ottobre, un attacco orchestrato da Hamas con il sostegno attivo dell’Iran. In tutti i comunicati comprese le grandi ONG italiane la condanna del 7 ottobre è sparita, come sono spariti da sempre le parole Hamas e terroristi, Non si chiede neanche più il rilascio degli ostaggi,, al contrario troviamo persino il deputato UE De Caro, che applaude alla manifestazione di Bari e canta “Bari lo sa da che parte stare Palestina libera dal fiume al mare.” Si è passati in un battibaleno dalla più che giusta condanna nei confronti del governo israeliano, del suo esercito e dei coloni, all’antisemitismo diffuso. Senza che la sinistra dicesse una parola. Persino ieri le bandiere di Hamas non sono state cacciate dalla manifestazione e persino l’Arci nello striscione che campeggiava alla stazione Termini inneggiava a “fermiamo il sionismo con le resistenze”. La sinistra e il sindacato hanno il compito di sostenere l’affermazione della pace e dei diritti umani contro ogni violazione e contro ogni dittatura. Ma non si è vista alcuna denuncia contro le violazioni dei diritti umani di Hamas che in questi anni ha represso duramente le donne, gli omosessuali e coloro che dissentivano e soprattutto usa ancora gli ostaggi sopravvissuti come arma di guerra. Certo, potrebbe sembrare ben poca cosa rispetto ai soprusi dei coloni, e del governo israeliano, ma trovo che tagliare con l’accetta la complessità di quella situazione che si è incancrenita nei decenni, non è buona cosa. Soprattutto se lo fa la sinistra che dovrebbe promuovere una cultura diversa e che invece per fini elettorali ha scelto di appiattirsi e di rincorrere logiche e messaggi profondamente sbagliati.

Per quanto riguarda la CISL vorrei ricordare che al Congresso CISL del luglio scorso hanno preso la parola le rappresentanti dei sindacati israeliano e palestinese che ha parlato per oltre 30 minuti, che la CISL non è stata silente ma ha devoluto fondi alla Croce Rossa per la popolazione palestinese, che la FAI CISL insieme alle altre due categorie di CGIL e UIL ha lanciato la raccolta di un’ora di lavoro a sostegno di progetti umanitari in Palestina.

Certo, molte cose si potrebbero fare di più e non solo per la Palestina, per l’Ucraina, per le donne iraniane, per la Birmania e le altre dittature feroci che stanno crescendo di numero e che si rischia possano avere il controllo del mondo, cassando i diritti fondamentali a partire da quelli delle donne e del lavoro. Queste folle oceaniche che si indignano solo a corrente alternata contro l’imperialismo americano e israeliano (dimenticando quello russo e cinese ad esempio) dovrebbero essere “guidate” meglio e con più saggezza e questo lo doveva fare la sinistra italiana, anche sostenendo la risoluzione del governo Meloni evitando inutili distinzioni ai fini elettorali.

Alberto Cuevas, 6 ottobre

Cecilia Brighi Sono totalmente d’accordo con te, condivido, in particolare la tua riflessione sulla sinistra

Nino Sergi, 6 ottobre

Cara Cecilia e caro Alberto, grazie per le riflessioni (scritte o condivise) e scusate per la lunghezza. La complessità della situazione in Medio Oriente è fuori discussione. E non vi è dubbio che il 7 ottobre sia stato un crimine terribile e inaccettabile, con azioni di terrorismo da condannare senza esitazione, così come è stato fatto in modo pressoché unanime, in Italia e nel mondo. Proprio per questo è ancora più sconcertante che Israele sia riuscito, in pochi mesi, a dissipare il credito di vicinanza e solidarietà guadagnato in quei giorni.

Di fronte a una realtà complessa è necessario affermare che la risposta di uno Stato democratico non può consistere nella negazione sistematica dei diritti umani e del diritto internazionale. Non può essere “difesa” il bombardamento quotidiano di scuole, abitazioni, ospedali e campi profughi, l’assedio di intere città, l’uso della fame come arma di guerra o l’espulsione forzata di civili. Non può esserlo la colonizzazione militare o la cancellazione, pezzo dopo pezzo, di un popolo dalla propria terra.

Questo è il cuore del problema e ciò che le piazze – immense e plurali – stanno cercando di dire, proprio perché non l’hanno sentito con chiarezza dalle istituzioni. Non negano la tragedia del 7 ottobre né dimenticano il dramma degli ostaggi e delle loro famiglie, ma ricordano che nessun crimine giustifica altri crimini. Non dimenticano le vittime israeliane, ma chiedono che quelle palestinesi non siano rese invisibili. Non invocano la distruzione di uno Stato, ma reclamano per due popoli il diritto a vivere in pace e sicurezza.

Le piazze ci ricordano che il terrorismo non può essere un alibi per cancellare i principi del diritto internazionale umanitario. Combatteremmo forse le mafie criminali bombardando senza fine intere città?

La nostra storia sindacale ci ha insegnato poi che nessuna piazza democratica può essere definita dalle minoranze estreme – spesso giovanissime, in cerca di visibilità sui social.

Le iniziative umanitarie già intraprese dalla Cisl sono preziose e vanno proseguite. Ma accanto alla solidarietà materiale servono a mio avviso (l’abbiamo sempre preteso nei decenni passati!) atti politici e morali: la testimonianza esplicita di un sindacato che, nella sua storia, ha sempre saputo schierarsi dalla parte dei diritti, della giustizia internazionale, della dignità di ogni persona e della pace. Per questo avrei voluto vedere anche le bandiere della nostra Cisl nelle manifestazioni di popolo.

Non si tratta, come dici, di scegliere una parte né di chiudere gli occhi davanti ad alcune violazioni per condannarne altre. Si tratta di affermare un principio universale: nessuna causa, vendetta o trauma storico può giustificare l’uccisione continua e sistematica di civili e la negazione dei diritti fondamentali.

Qualche giorno fa scrivevo sul Corriere.it che «mai avrei pensato di vedere, di fronte a massacri, fame inflitta, deportazioni e apartheid, tanta indulgenza e giustificazione. Eppure accade, anche tra persone con cui ho condiviso battaglie per la libertà e i diritti, contro dittature e oppressioni. Tutto in buona fede, ma non per questo meno sconcertante. Troppo spesso si preferisce discutere di questioni collaterali – dai numeri delle vittime all’uso del termine “genocidio” – o accusare di antisemitismo chi critica Israele, distogliendo così lo sguardo dal disegno di annientamento di un intero popolo». Anche il discorso sulla sinistra mi sembra che vada un po’ in questo senso. E comunque non è da indirizzare a me, su quanto ho scritto. Ciò che ho visto nelle strade è un popolo: di cittadini da ascoltare.

Alberto Cuevas, 9 ottobre

Caro Nino, il dibattito sul conflitto mediorientale è davvero uno dei peggiori che io abbia mai visto, e lo dimostra l’ascesa della nuova icona della sinistra, malata di narcisismo ma che continua ad incantare le folle, ad accumulare cittadinanze onorarie e persino la candidatura al premio Nobel per la pace. Francesca Albanese è la principale protagonista di una aggressività senza freno.

Ma non voglio nascondere che alcune cose ci differenziano. Ci differenzia per l’appunto la valutazione sull’operato di questa madonna pellegrina che vediamo in tutte le televisioni e a tutte le ore. Tu l’hai definita “una persona da ammirare”, per me, dopo la lettura del suo Rapporto all’ONU su Gaza, un’attivista e militante politica, autrice di un documento ideologico che presenta l’intera economia israeliana come “genocida” criminalizzando lo Stato d’Israele senza alcuna distinzione tra Stato, governo, cittadini, imprese, alimentando in questo modo un odio indistinto e generalizzato.

Ci differenzia l’uso strumentale e oltraggioso del termine “genocidio”. Lo dirà la Storia e sono sicuro che sarà implementi. Ma per me applicarlo all’attuale conflitto serve solo a relativizzare la Shoah. E la Shoah è unica, nella sua tragicità, senza paragoni possibili. E questo dimostra che non ci siamo mai liberati di 2000 anni di antigiudaismo. Un retaggio carsico che riaffiora sempre.

Criminalizzare Israele e al tempo stesso dimenticare il ruolo nefasto del terrorismo di Hamas è un errore che pagheremmo tutti, perché l’odio seminato nelle scuole e nelle Università resterà per molti anni.

Caro Nino, sono convinto che il lungo percorso fatto assieme, le battaglie condivise per la libertà e i diritti, contro le dittature e le oppressioni, oggi restano in un passato appena annebbiato se solo avvertissimo che la complessità della questione Mediorientale non si affronta con facili e oscure definizioni (apartheid, genocidio), ma con un serio e documentato confronto.

Ma devo essere sincero, a me sembra che ci sia una grande trascuratezza del dato della Storia, quella vera però, non quella propagandata dall’Albanese. Si trascura il fatto che i palestinesi hanno avuto diverse opportunità storiche per avere il loro Stato e in ben tre occasioni hanno rifiutato le proposte: nel 1947 con il Piano di Partizione dell’ONU della Risoluzione 181; nel 2000 con gli Accordi di Camp David negoziati da Ehud Barak, Bill Clinton e Yasser Arafat e nel 2008 con l’offerta di Ehud Olmert che prevedeva la restituzione di Circa il 94-96% della Cisgiordania più compensi e scambi territoriali.

Sinceramente poi mi ha davvero sorpreso la pubblicazione fatta da te della famigerata Mappa Nad-Nsu – anche se tu avverti che si tratta di una “cartina imperfetta e decontestualizzata”- perché quella cartina presentata da Erdogan e Mahmoud Abbas alle Nazioni Unite nel 2020 è un falso storico, è un palese strumento di propaganda ormai sepolto e rifiutato dallo stesso mondo arabo e, guarda caso, oggi però è di nuovo apprezzata e sbandierata.

Ma soprattutto non ho visto critiche forti e definitive verso coloro che hanno provocato il disastro, cioè Hamas, anzi oggi più che mai questa organizzazione è considerata alla stregua di una organizzazione di partigiani, con tanto di certificazione dell’Anpi e tuttavia il Diritto Internazionale prevede chiaramente che la parte che utilizza scudi umani sia considerato corresponsabile delle perdite civili che derivano da attacchi diretti a obiettivi militari. però faceva una critica alla sinistra italiana ed europea e, alla luce, anche del nostro modesto dibattito, non posso che confermare e sostenere le sue critiche.

Nino Sergi, 12 ottobre

Caro Alberto, apprezzo questo dialogo tra di noi (anche se fb non è il luogo ideale). Mi soffermo su alcune delle tue osservazioni. Sì, ci differenziano molte cose e le tue motivazioni non coincidono con le mie. A mio avviso, se – come affermi – il dibattito sul conflitto mediorientale è uno dei peggiori mai visti, è anche perché l’attuale governo israeliano, con ministri ignoranti e criminali, è uno dei peggiori mai visti.

E se mi soffermo in particolare su Israele è perché è una democrazia, fa parte del nostro mondo di valori e principi, ha stretti legami con il nostro Occidente e la sua cultura, che sentiamo vicina, nonostante i molti rimproveri che indirizziamo ai suoi leader e ai fanatismi ciechi che esprimono e diffondono. Israele si è messo allo stesso livello di Hamas; ha identificato l’intero popolo palestinese di Gaza con Hamas; ha visto l’orrendo 7 ottobre come l’occasione sperata per liberarsi di un intero popolo (potrei riportarti le parole di Ben-Gvir e, peggio, di Smotrich); si è sentito libero di spadroneggiare in tutta l’area, esaltato – erroneamente – dalla sua potenza, infallibilità e impunibilità.

Che non ci sia stata sufficiente critica di Hamas e del suo operato è un’affermazione gratuita, che non corrisponde alla verità. C’è stata eccome, da parte di tutti; e Israele ha goduto di un consenso e di una solidarietà amplissimi e generali, come mai avuti prima. Consenso e solidarietà che si sono però man mano affievoliti, fino a perdersi, di fronte alla progressiva e ininterrotta carneficina (indipendentemente da come la si chiami) che ha prodotto un crimine di proporzioni immani, con vittime civili decine di volte superiori.

Ammiro Albanese, certo, per quello che è, che è stata e che rappresenta: ben riportati nel suo libro “Se il mondo dorme”. Se vuoi, leggi cosa ha fatto e come lo ha fatto, in tanti anni, per capire, studiare, toccare quotidianamente con mano una realtà complessa e carica di ingiustizia. L’ammirazione continua, anche se due settimane fa, nel mio post a cui ti riferisci, ho aggiunto che ora, dopo aver doverosamente parlato e aiutato tanti a capire, un momento più silenzioso e di nuovo approfondimento potrebbe esserle utile. Se ogni persona di valore venisse condannata per qualche eccesso oratorio dettato dalla convinzione e dalla passione, ne rimarrebbero poche, e non solo in Italia.

Sei giustamente preoccupato dell’odio che, a tuo avviso, è penetrato nelle scuole e nelle università. Ma non riusciamo ancora, mi sembra, a valutare quanto odio si sia formato nei due milioni di giovani e meno giovani bombardati quotidianamente e senza pietà. Questo mi preoccupa seriamente, caro Alberto, insieme all’odio provocato simmetricamente il 7 ottobre, perché potrebbero minare a lungo ogni processo di di dialogo e di pace.

In questi giorni è iniziata una nuova fase, con troppe incertezze e con un’incomprensibile sottovalutazione di uno dei due principali soggetti, i palestinesi, ma da salutare positivamente e con speranza: la tregua che mette fine ai bombardamenti, alle morti e alla disperazione; il cibo e gli aiuti che finalmente possono entrare a Gaza, invece di lasciarli marcire al sole, affamando la popolazione, sono un segno di speranza. Il ritorno a casa di tutti gli ostaggi israeliani dopo due anni di sofferenze e dei corpi di quanti non ce l’hanno fatta a resistere a tali sofferenze, così come la liberazione di tanti prigionieri palestinesi, sono momenti attesi e di grande commozione e anch’essi segni di speranza.

Speranza a cui tutti dobbiamo ora aggrapparci, per fortificarla e renderla effettiva: ogni processo finalizzato a un cammino di dialogo politico e di pacificazione richiede un forte e costante appoggio internazionale. Richiede soprattutto il riconoscimento reciproco, per una convivenza di due popoli destinati a vivere in due Stati. Occorre prenderne definitivamente atto, a meno di volere far prevalere l’odio e la spinta a reciproche mattanze. Senza esclusivismi e fanatismi religiosi, da qualunque parte provengano, che negherebbero il cuore di ogni religione monoteista, che non può negare che tutti – ebrei, musulmani e cristiani – sono figli dello stesso unico Dio ai quali è affidata la terra per condividerla nella giustizia, senza sopraffazioni.

Intanto godiamoci le immagini delle persone liberate e del ritorno alle proprie famiglie, in Israele e in Palestina, dopo così lungo tempo e lunghe sofferenze. Godiamoci la tregua augurandoci che tenga e si trasformi in cessate il fuoco permanete. Godiamoci l’ingresso dei camion di aiuti ad una popolazione stremata, contando sulla presenza a breve di organizzazioni umanitarie a fianco delle agenzie ONU specializzate.

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