Normalmente, a fine anno o nei primi mesi del prossimo le reti di Osc, organizzazioni della società civile di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario, tengono assemblee per valutare o ridefinire priorità, programmi e posizionamenti. I rapidi cambiamenti e le crescenti incertezze impongono simili messe a punto. Tra queste, se ne trascina una che riguarda le stesse Osc italiane. Solo a prima vista sembra trattarsi di una questione minore: provo a riproporla alla riflessione delle prossime assemblee, sperando che possa essere colta.
Non è facile ritornare a parlare dell’esigenza di una rappresentanza unitaria rappresentativa dell’insieme delle organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale, che al tempo stesso non leda la ricchezza dei diversi valori e aspirazioni. Sono otto anni che periodicamente lo faccio, senza reazioni di sorta, quasi non si volesse affrontare il tema in modo aperto con una riflessione allargata a tutte le Osc. Ma è doveroso insistere: è una necessità a mio avviso non più rinviabile.
I problemi e le tensioni internazionali che ci toccano da vicino e ci preoccupano, il contesto politico attuale con la caduta delle spinte unitarie e solidaristiche, la svalutazione del multilateralismo, la chiusura sovranista e l’interesse egoistico, l’indebolimento di soggetti sociali tradizionalmente aggreganti, l’indifferenza e il disprezzo verso minoranze particolarmente bisognose ed emarginate, l’uso di un linguaggio falso, divisivo, che sfocia in comportamenti discriminatori e carichi di odio, la tendenza a negare o sottovalutare principi e valori di umanità e di convivenza sociale che sono stati e sono alla base delle nostre scelte, tutto ciò richiede oggi, ancor più che nel passato, una maggiore unità.
Nel loro pluridecennale cammino le Osc sono cresciute, si sono strutturate e professionalizzate. Hanno acquisito capacità sia nei settori di intervento, dall’educazione alla sanità, le attività produttive, la formazione, l’innovazione e tanti altri, sia nel rafforzamento dei partenariati che hanno permesso di approfondire la conoscenza di territori, comunità, dinamiche sociali ed economiche dei paesi, riuscendo a lavorare con i propri partner nell’affrontare bisogni e rafforzare stabilità e pace. Hanno saputo intervenire sulle varie forme di povertà, talvolta estreme, vivendo la dignità dei poveri e stabilendo rapporti di umanità e solidarietà in regioni lontane, fino ‘all’ultimo miglio’ ma anche in contesti di vulnerabilità vicini, in Italia, dove le povertà e le disuguaglianze si sono aggravate. Non si tratta di un elenco di buone intenzioni ma del vissuto quotidiano, con successi e insuccessi, certo, ma facendo tesoro di questi ultimi per migliorare.
Tale cammino non è sempre stato lineare. Momenti di forza unitaria si sono alternati con momenti divisivi. Ci sono stati comuni percorsi, pur in una sana competizione. I leader delle diverse aggregazioni hanno saputo solitamente condurre l’insieme verso trasformazioni e mete condivise, appianando divergenze, rafforzando visioni e proposte che hanno prodotto vitalità e autorevolezza. I percorsi unitari hanno permesso una proficua interlocuzione con il parlamento, le forze politiche, le rappresentanze sociali, le istituzioni governative, gli enti religiosi e l’apertura ai molteplici attori della cooperazione, dalle amministrazioni territoriali al mondo accademico e a quello imprenditoriale.
Ci sono però stati anche errori ed omissioni lungo i decenni e l’insieme delle Osc ne ha scontato le conseguenze, anche nelle relazioni con la cittadinanza e le istituzioni. Sono errori che possono facilmente ripetersi, con le stesse avvisaglie, che sono ben riconoscibili. Chiusure al pensiero altrui ed alla condivisione di conoscenze ed esperienze, autoreferenzialità, ansia per l’autopromozione, inutili antagonismi, discutibili metodi di fundraising, eccessiva prudenza nel fare emergere nuovi leader sostenendoli e valorizzandoli, rapporti con la politica ristretti agli ambienti ‘amici’, piccoli giochi di potere e sete di preminenza, rapporti istituzionali confusi e timorosi, proteste talvolta senza proposte. Tutti elementi che hanno frenato i percorsi comuni.
Questa fase storica richiede, senza alcun dubbio, un impegno rinnovato e qualificato, una visione ambiziosa ed un maggior peso unitario nel cammino delle Osc, che può essere espresso al meglio attraverso forme di aggregazione confederale delle differenti specificità esistenti. Non è tempo di limitate visioni. Forse gli occhi delle subentranti generazioni possono riuscirci meglio, meno condizionati da offuscamenti dei periodi passati. Occorre forse lasciare loro lo spazio per il rinnovamento, la rigenerazione. Tanti sono gli operatori e le operatrici che sono cresciuti umanamente e professionalmente nelle Osc; hanno vissuto con persone e comunità di vari continenti, con i più poveri e vulnerabili; hanno conosciuto la pluralità dei contesti culturali, sociali e politici e verificato che le storie e le civiltà di valore non sono mai uniche come invece certa cultura provinciale tende schematicamente a comunicare; hanno esercitato responsabilità di governance, interlocuzione politica, pianificazione e valutazione, costruito partenariati solidali. Toccherà a loro, valorizzando questo bagaglio di esperienze, prendere quanto prima il testimone dalle mani di chi, dando il meglio di sé, li ha preceduti, per assumere la responsabilità di costruire una nuova fase unitaria della vita delle Osc di cooperazione internazionale. Con sguardo lungo e ampio respiro.
L’unità di intenti e l’aggregazione in un’unica comune rappresentanza non significano annullamento delle diverse identità che sono parte della ricchezza del mondo di valori delle Osc. Anzi, le identità particolari possono venire arricchite proprio da una rilevanza collettiva. Le reti associative possono continuare ad esistere ed esprimere le proprie specificità e quelle dei loro associati ma al tempo stesso dovranno riuscire ad esprimere decisamente e convintamente una forte soggettività e responsabilità collettiva, con rappresentanza e voce unitarie di fronte alle istituzioni ed alla società nelle sue articolazioni. Essere rappresentati unitariamente significa dotarsi di maggiore forza, maggiore identità collettiva, maggiore peso nella comunicazione e nella proposta, visione condivisa per rendere sempre migliore e sentita la cooperazione internazionale.
Una visione autonoma, non mutuata da governi, partiti o esperienze estranee alla cultura solidaristica: basata sulla centralità della dignità della persona e dei più vulnerabili, sul cammino insieme ai partner ed alle realtà che lottano contro povertà e disuguaglianze per uno sviluppo sostenibile, sulla conoscenza ed esperienza acquisite, l’analisi dei paesi e dei contesti, la presenza in situazioni di distruzione e morte in guerre assurde, la costante ricerca del dialogo e della pace.
La pandemia ha dimostrato quanto la comunità umana sia vulnerabile e quanto sia necessario aggregare le forze nella stessa direzione per riuscire a modificare sistemi, scelte, comportamenti. È giunto il momento (ora, o forse mai più) di fermarsi a discuterne per giungere a decisioni condivise che rispondano alle nuove necessità nell’orizzonte temporale di almeno il prossimo quinquennio, quello dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Uscendo dagli interessi immediati e guardando lontano, forti del nostro vissuto in molti paesi, con tanti partner e comunità, fino all’ultimo miglio ma anche in situazioni di vulnerabilità in Italia. Coinvolgendo e accompagnando i nuovi soggetti della cooperazione. Interloquendo in modo paritario e con la forza dell’unità con le istituzioni governative e la politica. Valutando i successi e gli errori da non ripetere.
L’ho citato altre volte ma voglio nuovamente riprendere le parole di Tom Benettollo, sei mesi prima che ci lasciasse: «Certo, la via dei rapporti unitari è sempre impervia. La via più facile è quella che si interessa solo di valorizzare la propria corporazione, comunque si chiami. Ma se c’è qualcosa che crea cambiamento, è proprio nei rapporti unitari. Questo vale particolarmente sul terreno dei diritti: come farei ad affermarne l’universalità se mettessi al primo posto il mio ‘particolare’ interesse facendomi strada a gomitate, contro il mio vicino? Cogliamo l’occasione, non si ripeterà facilmente. È o non è il tempo del cambiamento?». Come riprendo l’invito del compianto Paolo Dieci: «La società civile fa giustamente appello ai governi e alle istituzioni affinché siano coerenti con le costituzioni, con i principi ai quali dicono di ispirarsi. Bene, lo abbiamo fatto e lo faremo. Tuttavia un analogo appello dobbiamo farlo anche a noi stessi».
Il mondo non aspetta. A noi la responsabilità di muoverci nel modo e momento giusti per non perdere la corsa.
Per VITA NON PROFIT