È forse giunto il momento di pensare ad una conferenza nazionale sull’immigrazione e l’asilo. Un evento pubblico promosso dalla presidente del Consiglio insieme ai ministri coinvolti, con un previo lavoro di analisi e approfondimento che veda partecipi i soggetti istituzionali pubblici insieme a quelli direttamente impegnati nell’assistenza, l’integrazione, il lavoro, l’educazione, la formazione, la cultura, il vissuto delle comunità immigrate. Organizzazioni sociali, sindacali, imprenditoriali, enti del terzo settore, della cooperazione internazionale, delle diaspore, istituzioni ecclesiali e comunità di fede, istituti di analisi e ricerca, istituzioni accademiche, educative e formative chiamate ad un ampio e coinvolgente lavoro per fornire ai decisori politici elementi utili a definire una politica dell’immigrazione, che ancora non c’è.
La materia è regolata da una legge che compie 22 anni, la Bossi-Fini. Le sei legislature e i dodici governi che si sono succeduti dal 2002 hanno impedito il regolare confronto su una materia così complessa e sensibile e la normale evoluzione normativa. Nel frattempo il mondo è stato attraversato da profondi cambiamenti economici, politici, demografici, ambientali che hanno influenzato le dinamiche migratorie. Piuttosto che provvedere a qualche aggiustamento, andrebbe pensata una nuova normativa che esprima, con aderenza alla complessità della materia, una vera politica migratoria, la cui assenza ha finora portato solo a puntuali provvedimenti senza visione e coerenza.
A livello europeo, il patto sull’immigrazione e l’asilo è stato recentemente adottato dal Parlamento e dal Consiglio, dopo anni di dibattiti sulle proposte della Commissione. Si tratta, però, di un accordo legato al tentativo di contenere e gestire i flussi, senza chiarire quale sia la politica migratoria europea e quale visione regoli un fatto sociale di così ampia portata che non può essere ridotto alla gestione delle crisi e alle sole logiche della sicurezza o delle dinamiche demografiche e del mercato del lavoro. Gli apprendimenti del secolo scorso non devono essere dimenticati: “cercavamo braccia e sono arrivati uomini”, donne, bambini, con i loro modi di vita, le loro culture, i loro progetti.
Occorre ripensare la migrazione. Ce lo ricorda il sociologo Felice Dassetto, professore emerito dell’Università cattolica di Lovanio, nel saggio appena pubblicato “Migration: un fait total. Nouveaux regards et nouvelles politiques”: il fatto migratorio ci impone di studiare e dare risposte all’insieme delle domande che pone, senza isolare il punto di vista dei migranti da quello delle società in cui arrivano e delle società da cui partono. Le migrazioni dominano il dibattito pubblico da almeno tre decenni proprio perché non sono state date risposte alle domande da esse sollevate. In assenza di appropriate soluzioni politiche, le posizioni si sono inasprite e la polemica ha sostituito il dibattito, con opinioni inconciliabili che vanno dall’apertura della ‘fortezza Europa’ ai muri per impedire l’immigrazione. I toni polemici e ideologici hanno congelato le posizioni e prodotto l’impasse in cui ci troviamo da troppo tempo, rendendo difficile pensare al fatto migratorio in modo equilibrato e razionale, anche per poter tentare di costruire in modo nuovo una politica migratoria positiva e costruttiva. Eppure, si dovrebbe iniziare ad accettare che non ci sono soluzioni prefabbricate né soluzioni semplici. Nelle nostre società democratiche esse vanno cercate insieme. L’immigrazione non è di per sé né un bene né un male, evidenzia Dassetto: è ciò che gli attori coinvolti (immigrati e residenti, individui e collettività, cittadini e istituzioni) e le condizioni sociali e istituzionali in cui essa avviene la faranno diventare.
Finita questa fase elettorale, la politica dovrebbe cercare di aprirsi e confrontarsi, evitando infruttuosi scontri, mettendosi all’ascolto e invitando a sua volta al confronto. Esiste in Italia un ricco insieme di realtà con pluridecennali conoscenze sia della complessità dell’immigrazione che delle problematicità dei paesi di provenienza; uno straordinario patrimonio di esperienza, capacità di azione e di proposta, collaborazione con le istituzioni pubbliche, rapporti di rete con analoghe realtà nei paesi europei e in quelli di emigrazione.
Il sano e lungimirante governo dell’immigrazione è una preoccupazione comune a queste realtà ed alle istituzioni di governo, pur nelle differenti visioni. Il confronto e l’ascolto possono essere il migliore strumento per riuscire a costruire politiche dell’immigrazione capaci di portare a scelte di governo il più possibile sane e lungimiranti. Sono scelte indispensabili anche al posizionamento dell’Italia ed al suo ruolo trainante nelle politiche comuni in sede europea. Per essere credibile, un simile ruolo richiederà una strategia e un’agenda politica la cui attuazione inizi in casa propria e sia dettata da una visione lunga, ben oltre le risposte emergenziali.
(Articolo pubblicato da IL RIFORMISTA, 12.06.2024)