Convegno Internazionale “La sfida culturale delle migrazioni: rischi e opportunità”, Pontificia Università Gregoriana, Roma, 27-28 Ottobre 2014.
La relazione sviluppa un’analisi dell’immigrazione in Italia basata su precisi dati che ne evidenziano alcune caratteristiche e sfatano varie semplificazioni. Viene indicata una duplice via: quella di un coerente e lungimirante governo dei flussi migratori, basato su diritti umani, dignità della persona, integrazione, e quella di rapporti di cooperazione tra i territori legati dal flusso migratorio, qui e lì, per un co-sviluppo ad interesse e beneficio reciproco.
Si parte dai fattori che causano le migrazioni, in particolare le disuguaglianze, la povertà, l’incremento demografico, il crescente bisogno di opportunità di lavoro, le calamità causate dai cambiamenti climatici, le guerre e le persecuzioni, il desiderio delle nuove generazioni di muoversi per cercare nuove opportunità. Allarmanti sono i dati riportati: 2,7 miliardi di persone vivono ancora con meno di 1,5 euro al giorno, con un miliardo che soffre la fame. Rispetto ai 106 milioni del 2012, sono 350 milioni le persone colpite da calamità. Altre 51,2 milioni fuggono da guerre e persecuzioni. I paesi più ricchi rimarranno stabili sui 1,3 miliardi di persone in società che invecchiano, mentre il resto del mondo continuerà a crescere portando la popolazione globale dai 7,2 miliardi nel 2013 ai 9,6 miliardi nel 2050. La popolazione africana passerà dagli attuali 1,1 miliardi a 2,4 miliardi, con età media intorno ai 20 anni (contro i 29-30 di quella mondiale e i 43 dell’UE) e con 700 milioni di persone in età lavorativa. Si tratta delle proiezioni diffuse nel 2013 dal Word Population Prospect dell’ONU.
Non vi è dubbio che il continente più vicino a noi, l’Africa, giocherà un ruolo centrale nella distribuzione della popolazione mondiale in questo secolo. Se non riuscisse ad offrire nuove opportunità di lavoro, la migrazione di decine, forse centinaia di milioni di persone verso paesi africani economicamente più forti o verso l’Europa e il Medio Oriente sarà inevitabile. Creare occupazione in Africa diventa un’assoluta priorità. Per farlo, la cooperazione allo sviluppo può assumere un ruolo decisivo, rafforzando la dimensione imprenditoriale, gli investimenti pubblici e privati, al fine di creare impresa, occupazione, sviluppo diffuso. È una sfida che il settore privato italiano ed europeo, ad iniziare da quello cooperativo, dovranno riuscire a cogliere, nel nostro stesso interesse, per un grande piano di cooperazione e di sviluppo con l’Africa per i prossimi decenni, valorizzando il settore privato locale, a beneficio reciproco.
Sul possibile ruolo degli immigrati per lo sviluppo dei paesi di origine, viene evidenziato come essi non aspettano le incerte decisioni internazionali o governative per agire. Con le rimesse e altri aiuti inviati alle famiglie alleviano la povertà, avviano attività che accrescono i commerci locali e l’occupazione, con le conoscenze e competenze acquisite stimolano l’innovazione e rafforzano la presa di coscienza dei diritti umani e della partecipazione, contribuiscono al superamento delle vulnerabilità causate dalle crisi climatiche ed economiche. In questo senso gli immigrati possono, a pieno titolo, essere definiti attori di sviluppo. Come quelli che, dopo anni di esilio e protezione internazionale, ritornano per ricostruire il proprio paese alla fine del conflitto o della persecuzione.
Ma è il transnazionalismo degli immigrati che deve essere maggiormente valorizzato, in particolare di quelli più radicati nella società italiana e che hanno dimostrato interesse allo sviluppo del paese di origine. È la loro capacità di “essere qui e lì” il grande valore aggiunto. Partendo da questa dimensione transnazionale e dal protagonismo dimostrato da alcuni nell’avvio di partenariati con le regioni di provenienza, il co-sviluppo dovrebbe essere inteso in modo più ampio di quanto fatto finora e aprirsi all’intera dimensione territoriale, coinvolgendo ogni attore potenzialmente interessato: istituzioni, ong, organizzazioni sociali, imprenditoriali, professionali, reti di imprese, università, camere di commercio, istituti di credito. Il transnazionalismo degli immigrati deve diventare l’occasione per un’azione transnazionale dei due territori, di accoglienza-integrazione e di provenienza.
Concretamente, all’azione e ai progetti realizzati dagli immigrati e dalle loro associazioni va affiancata un’azione dei territori per costruire relazioni transnazionali di partenariato con i territori di provenienza delle comunità immigrate, in ogni ambito possibile: sociale, culturale, economico, commerciale, istituzionale. Se in una regione è fortemente presente e radicata, per esempio, una comunità senegalese (o tunisina o egiziana o nigeriana o altra) che negli anni ha mantenuto rapporti con la terra di origine, un’ampia cooperazione tra le due regioni, qui e lì, non è solo possibile ma è anche una reciproca opportunità. Accordi quadro di cooperazione di lunga durata tra le due Amministrazioni regionali dovrebbero, a loro volta, favorire altri specifici accordi di cooperazione che coinvolgano ampiamente le due realtà territoriali: non solo tra immigrati e comunità di origine, ma anche tra ong e ong delle due regioni, università e università, cooperative e cooperative, tra associazioni di impresa e tra imprese, tra istituti di credito, tra realtà sociali e così via, per un co-sviluppo vero e duraturo, a reciproco vantaggio. Si tratta di una nuova visione, capace di guardare lontano, anche per il proprio interesse, e di abbattere i muri, prima che altri li abbattano con diversi interessi e intenzioni.