Libia. Soluzione politica. Per l’Italia è questo il momento di incidere

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Written by Nino Sergi

17 Aprile 2015

L’instabilità impedisce qualsiasi azione umanitaria

Decine di migliaia di nuovi profughi sono in arrivo nei prossimi mesi dalla Libia. La frammentazione clanica e di gruppi di potere economico e criminale che domina il paese, la crescente destabilizzazione, la generale insicurezza e la minaccia terroristica impediscono qualsiasi azione umanitaria nel paese per garantire soccorso e protezione ai più vulnerabili e ai richiedenti asilo, insieme alla lotta contro i trafficanti di esseri umani. Occorre quindi continuare ad adoperarsi perché non si ripetano le tragedie nel mare, soccorrendo le persone prima di raccoglierle senza vita. Certa politica può pure continuare a gridare che occorre impedire le partenze in mare ma deve al contempo e con senso di responsabilità avere l’onestà di riconoscere che ciò non sarà possibile finché la Libia non riuscirà a stabilizzarsi con un cessate i fuoco e un governo di unità nazionale riconosciuto dalla comunità internazionale, su cui potere investire e con cui poter definire piani di aiuto e di cooperazione efficaci e di lunga durata.

La Somalia insegna

Finché rimangono due governi e due parlamenti in contrapposizione, affiancati da milizie più o meno organizzate ma ben armate, e finché potentati territoriali controllano aree e città lungo la costa difendendo i propri traffici da qualsiasi ingerenza esterna, non è pensabile alcun intervento armato sul territorio libico. Le esperienze dei due decenni passati – in particolare quella della Somalia che molto assomiglia alla situazione libica – con i molti insuccessi delle missioni militari internazionali “di pacificazione” o “umanitarie” o “per portare la democrazia”, debbono pur insegnare qualcosa ai decisori politici. Senza l’intervento armato Iraqi Freedom nel 2003 e l’insensata gestione politica dell’Iraq “liberato”, difficilmente sarebbe nato il cosiddetto Stato islamico con la carica di odio che lo anima. Un intervento armato di stabilizzazione, o anche solo contro il terrorismo, può avere probabilità di successo solo se avviene con l’accordo di tutte le principali parti in contrapposizione, interne e internazionali, come avvenuto in Libano nel 2006.

Urgente una soluzione politica

Il ministro Gentiloni, al Summit dei ministri degli affari esteri del G7 + l’Ue, conclusosi mercoledì a Lubecca, è riuscito a trasmettere e a far percepire l’urgenza di una soluzione politica tra le parti libiche, attraverso il percorso negoziale condotto dall’Inviato Onu Bernardino Leon. Il vuoto politico attuale, con la permanente conflittualità, favorisce infatti i poteri criminali e la saldatura tra organizzazioni estremistiche e terroristiche, con conseguenze imprevedibili. Risolvere la crisi libica è prioritario “anche per affrontare la catastrofe umanitaria dei migranti”, ha affermato il ministro, aggiungendo che “l’ondata di flussi migratori e il pericolo di insediamenti terroristici non è un problema solo italiano”. L’impegno per salvare le vite e per accogliere chi fugge dalle guerre non può essere scaricato infatti sull’Italia: l’Ue e i singoli Stati membri devono sentirlo proprio, studiando anche forme legali di ingresso dai paesi in guerra o da quelli limitrofi, alternative ai barconi della morte e ai disumani traffici che li alimentano.

L’impegno italiano

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi si trova a Washington, ospite del presidente Barack Obama. Due giorni con gli occhi rivolti al mondo (sperando che questo sguardo oltre i confini diventi stabile nelle priorità politiche italiane). La crisi libica è uno dei temi al centro dell’incontro e all’Italia sarà molto probabilmente richiesto di assumere un ruolo di leadership per smuovere l’intera Europa e per rafforzare le alleanze con i paesi arabi interessati alla pacificazione dell’intero paese e alla lotta all’ISIS e al terrorismo, assicurando anche una presenza militare significativa quando questa sarà ritenuta legittima e necessaria. Tali impegni saranno probabilmente assunti.

La leadership italiana va assicurata ora

Vi è un impegno però, a nostro avviso, che il presidente Renzi dovrebbe prendere subito, a livello politico e diplomatico, indipendentemente dalle richieste di Obama, nell’interesse del nostro paese: quello di impegnare l’Italia ad esercitare ogni pressione a livello europeo e internazionale – qui sì con un ruolo di leadership – a sostegno del processo negoziale condotto con tenacia dall’Inviato Onu Leon, al fine di giungere, ad ogni costo e senza possibilità di insuccesso, ad un cessate il fuoco e ad un governo di unità nazionale. “Non si è lontani”, afferma con ottimismo lo stesso Leon, ma questo processo va sostenuto ben più di quanto la comunità internazionale stia facendo. Il peso politico e la leadership dell’Italia vanno quindi assicurati ora. E’ questo infatti il momento più importante (e meno costoso), che potrebbe aprire la porta ad iniziative internazionali di soccorso e protezione umanitaria, di contrasto ai traffici di esseri umani, di prima verifica delle richieste di protezione e di asilo, di aiuto alla stabilizzazione, di cooperazione, con programmi robusti e a lungo termine che rafforzino il nuovo governo e le nuove istituzioni, sostenendoli nella lotta alla criminalità e al terrorismo e nell’azione a favore della popolazione libica che ha il diritto di vivere in pace e nella prosperità, date anche le risorse del paese. E’ adesso, negli esiti del negoziato in corso, che si decide il futuro della Libia e in parte il nostro stesso futuro. E’ quindi adesso che l’Italia deve far sentire la propria voce e portare l’intera Ue e i paesi arabi coinvolti a sostenere il negoziato fino al suo successo.

 

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