Articolo pubblicato su Panorama.it. Esprime la mia posizione sull’articolo di Fausto Biloslavo pubblicato sul settimanale il 12 febbraio 2020 e ripreso nel web insieme a questo mio.
Ritengo utile leggere articoli e commenti che esprimono pensieri opposti ai miei. Mi servono per approfondire ed arricchire l’analisi e la riflessione. Il fatto migratorio, in particolare, è materia che richiede molto approfondimento, conoscenza delle sua complessità, capacità di situare ogni suo aspetto in una visone complessiva, nello spazio e nel tempo, a breve, medio e lungo periodo, e di evitare per quanto possibile strumentalizzazioni politiche, pregiudizi e semplicistici slogan fatti passare per verità, come ormai sta avvenendo in Italia. Fausto Biloslavo, che conosce parecchio del mondo e delle sue complessità, potrebbe tenerlo maggiormente presente nella sua produzione di articoli sui movimenti migratori.
Non lo è, ma anche ammettendo che sia tutto ben focalizzato quanto egli riferisce sulle navi che hanno salvato vite umane (umane, dobbiamo ricordarlo per non fermarci solo a numeri astratti) e che ci sia un reale corto circuito tra politica e magistratura, la questione dei flussi migratori continua a rimanere mal posta e a non essere affrontata. Molta politica e molti media spendono tante parole per fotografare situazioni e azioni con un obiettivo messo a fuoco a piacimento, per vederle non per quello che sono ma per quel che conviene. E’ un po’ come quando in Afghanistan, ma prima ancora in Iraq o in Somalia, politica e media parlavano di quei paesi quasi unicamente con la lente della presenza militare italiana. Si sapeva tutto di cosa succedeva ai nostri contingenti militari ma quasi nulla sull’Afghanistan, l’Iraq o la Somalia (e altri paesi, in seguito).
Ho molto da criticare all’ex ministro dell’interno Matteo Salvini ed alla sua quotidiana manipolazione della realtà, compresi i sequestri di persona in mare di cui è accusato. Sono avvenuti con un’indubbia sua forzatura, data l’inesistenza di alcun pericolo per la sicurezza dell’Italia: una forzatura finalizzata ad attirare qualche altro consenso nelle aree più estreme. Trovo però alquanto singolare che il governo di allora dichiari la propria estraneità di fronte alle decisioni del ministro. Sia il presidente del consiglio che altri ministri sarebbero potuti intervenire, anche duramente. Ma non mi pare che l’abbiano fatto.
Alfredo Mantovano, ex sottosegretario all’Interno intervistato da Biloslavo, ha avuto come ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu. Alle sue osservazioni su politica e magistratura avrebbe potuto forse aggiungere qualche accenno a come ci si comporta quando si ha responsabilità di un ministero così importante, come si comportava lui e come si comportava il suo ministro Pisanu. Erano sempre fuori ministero a fare comizi e propaganda partitica, ad ascoltare la pancia della gente ed assumerla come linea politica per garantirsi facile consenso? Non partecipavano mai anch’essi agli incontri ed alle negoziazioni a Bruxelles con gli altri ministri europei, anche a quelle che convenivano all’Italia? Non studiavano i dossier più importanti e difficili e si limitavano a quelli con effetto propaganda? Non ho dubbi che Mantovano e Pisanu siano stati sottosegretario e ministro nel modo richiesto dalla responsabilità istituzionale affidata loro. Così come Maroni, Cancellieri, Alfano, Minniti e ora Lamorgese, ognuno con le proprie caratteristiche e visioni politiche. Un solo ministro si è permesso, senza alcun senso istituzionale, di esercitare il suo ministero come se fosse in libera uscita, per tutti i suoi quindici mesi pagati con denaro pubblico. Ma questo pare non rappresentare un problema. Il problema sono due o tre navi di Ong, “talebane dell’accoglienza”, il cui “vero obiettivo non è quello umanitario di salvare i migranti, ma di portarli ad ogni costo in Italia in spregio alle regole”.
Le Ong seguono i principi umanitari che impongono di salvare sempre e ovunque vite umane, anche andandole a cercare ove in pericolo, e seguono le leggi del diritto internazionale del mare, come verificato nelle indagini delle procure. L’Europa potrebbe anche definirne altre a maggiore garanzia del lavoro di soccorso, come suggerito dalla ministra Lamorgese. Più in generale, in tema di movimenti migratori, ritengo giusto e normale che ci siano regole per l’ingresso nei confini, almeno finché a livello Ue non si arrivi a valutare un diverso e forse più appropriato approccio. Lo stesso Global Compact sulle migrazioni si focalizza sulla regolarità. Ma dove sono queste regole in Italia? Semplicemente non ci sono, tranne che per limitati permessi soprattutto per i lavori stagionali. E’ così difficile capire che la cosiddetta “chiusura delle frontiere” e l’impedimento di ingressi regolari, definiti, sono la prima e più pesante causa degli ingressi irregolari? Bloccando gli ingressi regolari, legali, controllati, sicuri, i governi hanno lasciato libero spazio a trafficanti e mafie internazionali, a forme di tratta e sfruttamento che fanno inorridire. Ma, ancora una volta, sembra non essere questo il problema: sono le Ong che salvano vite umane. Poche migliaia purtroppo, non potendo fare miracoli.
Una domanda a cui non si risponde è se esista un altro modo per non lasciare morire persone in mare (in un paese civile dovremmo essere d’accordo che la vita umana deve sempre essere salvata) e per non abbandonarle al destino di sofferenza e degrado con una nuova deportazione in Libia? La risposta c’è, ovviamente, ed è in Libia innanzitutto, nei paesi di transito e in quelli di origine. Cosa si è fatto e con quali risultati? Quasi nulla, nessun risultato. Di fronte all’incapacità dei governi e della comunità internazionale, severi a parole ma inconcludenti nella realtà, è prevalso sempre l’imperativo di salvare le vite. Scaricare sulle Ong è troppo facile (pessima poi l’abitudine di descriverle come un insieme informe e indefinito). Finché la politica e gli Stati non agiranno lì dove si dovrebbe agire, in modo efficace, esse continueranno, finché potranno, nel loro lavoro umanitario. E vivaddio! Perché è questo il loro e il nostro dovere, a meno di voler entrare in una sorta di inciviltà moderna, che colpirebbe, prima o poi, anche ognuno di noi.
Dov’è l’emergenza costruita ad arte per creare percezioni allarmanti? Dov’è l’invasione? Non esistono, eppure si continua a parlarne e a scriverne. In Italia sono poco più di cinque milioni gli stranieri, circa il 9% della popolazione residente: una cifra che rimane da anni sostanzialmente stabile. Dov’è l’emergenza sbarchi se il numero complessivo dei migranti sbarcati in Italia nel 2019 è stato di 11.471, nel 2018 di 23.370, dopo gli anni eccezionali 2014-2017 con una media di 150 mila? Dov’è l’emergenza se nei due primi mesi dell’anno si è passati da 13.439 sbarchi nel 2017 a 5247 nel 2018, 262 nel 2019 e 1777 nel 2020 fino ad oggi? Sono dati non delle Ong ma del ministero dell’Interno. “Solo in gennaio si è registrato un aumento del 660% rispetto allo stesso periodo del 2019”, evidenzia Biloslavo, cercando anch’egli di alimentare l’allarmismo. Sono stati in realtà 1050 in più rispetto al 2019. Se solo consideriamo che in Libia in dicembre le azioni di guerra hanno avuto un forte impatto sui civili, tale numero è decisamente poco allarmante. La presenza straniera complessiva è pari all’8,7% della popolazione ed è inferiore a quella tedesca (11,7%), austriaca (15,7%), del Regno Unito (9,5%) e di poco superiore a quella francese (7%). Siamo un paese normale dal punto di vista dell’immigrazione. Sarebbe ora di prenderne atto, nella politica e nei media.
Diverso è il discorso che riguarda contesti già di per sé socialmente difficili e con scarsa possibilità di integrazione degli immigrati. In tali contesti, i cui problemi sono spesso delegati al volontariato, non si vivono percezioni ma difficoltà e contrapposizioni reali. Essi dovrebbero essere maggiormente e particolarmente sostenuti dalle pubbliche amministrazioni. Quando la forbice dell’inclusione si allarga troppo, emarginando, discriminando, negando diritti basilari ad ampie fasce di popolazione, la società entra in crisi. La necessità di politiche e azioni finalizzate all’inclusione vale per gli immigrati ma, più in generale, per tutti i cittadini in posizione di fragilità e marginalizzazione. Anche queste politiche, però, ritardano o sono estremamente insufficienti. E non certo a causa delle Ong e delle organizzazioni solidaristiche che spesso sono le sole ad agire per cercare di cucire tessuti sociali lacerati e abbandonati a se stessi.