“Bisogna investire in Africa. Abbiamo detto basta ai tagli alla cooperazione dei governi precedenti e forte è l’aumento delle risorse”. Il presidente Matteo Renzi lo ripete in modo convinto e vuole presentare l’Italia al G7 di Taormina nel 2017 al terzo o quarto posto per fondi destinati alla cooperazione per lo sviluppo, cioè con stanziamenti pari allo 0,25% del Pil. Una tappa importante sulla via dell’impegno assunto di raggiungere lo 0,30% nel 2020 e lo 0,7% entro il 2030.
La legge di bilancio 2017 sembra ben tradurre queste intenzioni, stabilendo un ulteriore incremento di 120 milioni dei fondi per l’Agenzia e un nuovo fondo per l’Africa. Erano dieci anni, dal governo Prodi del 2007, che non si vedeva una così consistente inversione di tendenza. Una buona legge di bilancio, quindi, per quanto riguarda la cooperazione pubblica allo sviluppo (CPS). Rimangono però aperti alcuni punti interrogativi che richiedono maggiore chiarezza e trasparenza.
“I livelli del 2015 risulteranno più che raddoppiati”. L’affermazione è del ministro Paolo Gentiloni. E’ corretta e scorretta al tempo stesso. Non raddoppia infatti il livello degli stanziamenti per la CPS che nel 2015 sono stati di complessivi € 3.600 milioni (comprendenti la partecipazione alla cooperazione dell’Ue e delle istituzioni finanziarie internazionali), ma aumenta solo la parte gestita direttamente dal Maeci/Dgcs e dall’Agenzia – che è pari a un decimo di quel totale complessivo – grazie all’aumento di 120 milioni per ogni anno 2016, 2017, 2018 e l’imminente fondo di 200 milioni per l’Africa. Sono stanziamenti significativi che rappresentano certamente una svolta ma che non raddoppiano l’impegno italiano per la CPS, come simili affermazioni porterebbero a credere. E aumenta, come si dirà di seguito, l’arco delle attività considerate nel calcolo della spesa per la cooperazione.
Il nuovo Fondo per l’Africa. Si tratta di un fondo di 200 milioni per il solo 2017 (anno del G7). Il Documento programmatico di bilancio 2017 così lo presenta: “Il Governo intende avviare un piano straordinario di cooperazione con alcuni paesi chiave dell’Africa per il transito o l’origine dei migranti via mare, con risorse per investimenti a fronte di impegni sulla gestione dei flussi”. Quanto di questo fondo sarà utilizzato per ampliare le attività dell’Agenzia in Africa o per integrare e rafforzare il piano europeo di investimenti in Africa e nel Mediterraneo che sarà avviato nel 2017 e nella cui attuazione l’Italia dovrebbe essere in prima fila? C’è da sperare che la maggior parte del fondo lo sia e che non ci si limiti a misure securitarie, finalizzate al controllo delle frontiere, alla formazione delle forze di polizia, ai ritorni forzati, con l’occhio rivolto ai nostri interessi immediati, alle nostre paure e convenienze politiche, tornando ad una visione miope e forse anche un po’ cieca. La novità è comunque interessante e andrà seguita con molta attenzione.
”Si è passati dallo 0,12% del Pil nel 2012 all’attuale 0,22%”. Anche questa affermazione è vera solo a metà. Dal 2014 è stata infatti inserita nel calcolo percentuale la voce “Rifugiati nel paese donatore” per una cifra che da 195,29 milioni nel 2014 (come risulta dalla relazione al Parlamento) è crescita fino a superare gli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo gestiti dall’Agenzia e dalla Dgcs e fino a rappresentare il 25% del totale della CPS, trattandosi di ben 880 milioni di euro nel 2015. Si tratta dei fondi Sprar del ministero dell’Interno per l’accoglienza in Italia dei richiedenti asilo e rifugiati, una spesa indispensabile e giusta, ovviamente.
Ma senza il computo di tale spesa la percentuale della CPS rispetto al Pil rimarrebbe contenuta – come in realtà ancora è – allo 0,17%. Nella generale carenza di fondi, il Comitato aiuto allo sviluppo (Dac) dell’Ocse ha ammesso tale computo limitandolo al primo anno di permanenza e nell’insieme dei paesi Dac la media, fino al 2014, è stata pari al 4,8% degli stanziamenti per la CPS, tenuto conto che sei paesi hanno completamente rinunciato a computare in essa le spese relative ai rifugiati e richiedenti asilo. Il conteggio italiano del 25% è senza dubbio troppo elevato, sproporzionato e falsa la realtà: sarebbe più giusto stabilire un suo contenimento intorno ad un massimo del 10%, dato che comunque un nesso esiste, rientrante nell’aiuto umanitario.
Il passaggio dallo 0,12% allo 0,22% del Pil è quindi un espediente, pur legittimo, ma che poco ha a che fare con “gli investimenti in istruzione, formazione, attività produttive creatrici di occupazione e di sviluppo nelle società africane molto giovani”, così giustamente affermati dal presidente Renzi anche come incentivo per non emigrare. Se questo è l’obiettivo, siamo ancora molto lontani.
Occorre fare delle scelte: è il compito della politica. Chiare, trasparenti, comprensibili a tutti e con strategie di lungo respiro. Sembra che le scelte del governo in materia di cooperazione per lo sviluppo, nonostante le intenzioni e gli sforzi reali e apprezzabili, manchino ancora di chiarezza e quindi di coerenti decisioni. La storia di “un colpo al cerchio e uno alla botte” se forse funziona nell’immediato non è certo segno di una visione strategica, quella enunciata convintamente dal presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, dovrebbe metterci quell’attenzione e quell’impegno che finora sono mancati data l’ampiezza dei problemi di politica estera che si trova a dover gestire, facendolo peraltro con saggezza e capacità. La disattenzione sulla nuova Agenzia e sulle gravi carenze di personale che la stanno sfigurando sul nascere, l’incompleta delega al viceministro per la cooperazione allo sviluppo che la legge 125/2014 vuole piena, formalmente e concretamente, all’interno delle linee strategiche stabilite dal ministro, i ritardi nell’attivazione con le disponibilità necessarie della Cassa depositi e prestiti, l’inspiegabile ritardo nella convocazione del Cics, comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo e nella pubblicazione del documento di programmazione e di indirizzo politico 2016, ancora sospeso mentre il Cics avrebbe dovuto approvarlo entro il 31 marzo insieme alla relazione consuntiva del 2015 … sono, insieme ad altri punti (che Link 2007 ha evidenziato lo scorso luglio nella nota: “Legge 125/2014, due anni dopo”), segnali che c’è ancora poca corrispondenza tra le grandi intenzioni e la realtà italiana della CPS, certamente migliorata – va riconosciuto e apprezzato – ma con limiti che andrebbero presi in considerazione senza ulteriori ritardi.
(Pubblicato in repubblica.it, 31.10.2016)