Mio intervento al Dialogo “Comunicare il sociale nel ricordo di Nino Santomartino” all’apertura dei lavori dell’Assemblea dei soci dell’ AOI – Cooperazione e solidarietà internazionale, il 24 ottobre 2025. Al panel hanno partecipato Monica Di Sisto, giornalista, ReOrient; Marco Binotto, Professore Associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Sapienza Università di Roma; Ivano Maiorella, direttore Giornale Radio Sociale, UisPress; Rossella De Rosa, Idea Comunicazione; Mario Mancini, Progettomondo.
Questo dialogo “Comunicare il sociale, è per me anche un momento di ricordi e di elaborazione di quanto condiviso con lui nel tempo. Quando mi è capitato di scrivere di comunicazione nell’ambito largo della cooperazione allo sviluppo, il parere di Nino mi è stato sempre di grande utilità, in un rapporto di vent’anni.
Proprio vent’anni fa (era la primavera 2006) si era interessato ed impegnato volontariamente a coprire tutta la parte comunicativa di un’iniziativa lanciata durante la campagna per le elezioni comunali a Roma, con l’adesione di molti dirigenti di Ong; per la quale ha fornito le sue competenze arricchite dalla passione che ci metteva e che trasmetteva.
La campagna chiedeva al Sindaco che avrebbe governato la città di istituire un assessorato all’integrazione, e ai Consiglieri Comunali eletti di rendere pienamente operativa tale scelta. Non si chiedeva un assessorato all’immigrazione, con il rischio di isolare e separare il cittadino immigrato dal resto della cittadinanza, ma un assessorato che riguardasse tutti, vecchi e nuovi cittadini, l’inclusione, le possibilità di incontro, di conoscenza, di crescita e di sviluppo della città e dei suoi quartieri, l’apertura all’altro e al mondo.
“Noi Ong e Associazioni romane, che operiamo da anni in solidarietà con i paesi da cui molti degli immigrati provengono, ci adopereremo con l’Amministrazione comunale perché questa indispensabile integrazione possa avvenire al meglio”, avevamo scritto nell’appello, aggiungendo che ci proponevamo “come attori privilegiati in questo dialogo, fatto di umanità, conoscenza, comprensione e riconoscimento, che deve portare alla migliore inclusione e integrazione per il bene della nostra città, ‘per il bene di Roma’ “.
Si trattava di una proposta politica semplice e insieme profonda, nata dall’aderenza alla realtà. Una realtà che non bastava conoscere: bisognava saperla comunicare e saperla sostenere, con un’attenta azione di advocacy, per farla guardare e affrontare con lo sguardo lungo del bene comune.
Da quel primo incontro, è poi continuata la riflessione sulla nostra azione di Ong e sulla dimensione comunicativa e di advocacy che le è strettamente collegata. A tappe, a intervalli anche di anni, essa ha riguardato il modo di comunicare di noi Ong di sviluppo e umanitarie. Ne parlo perché è materia di riflessione sempre attuale.
Mi soffermo su due dei filoni di tale riflessione.
1. La chiarezza nella distinzione tra comunicazione, advocacy e attività finalizzate al fundraising.
2. L’uso delle immagini nel fundraising.
1. Distinguere comunicazione, advocacy e fundraising
Se non comunichi non esisti. L’abbiamo imparato presto. Devi comunicare per farti conoscere: all’esterno – il pubblico, i media, le istituzioni, i partner, le comunità locali – ma anche all’interno – soci, staff, volontari. Far conoscere le attività, le finalità, i valori, i risultati e l’impatto del lavoro svolto, il cambiamento prodotto, il senso e il valore del proprio impegno e di quello del proprio staff.
E’ anche il terreno su cui si fondano sia l’advocacy sia la raccolta fondi: entrambe non possono funzionare senza una comunicazione chiara e coerente.
E’ richiesta infatti un’attenta ed efficace comunicazione per dare voce a cause che riteniamo importanti, per fare cioè advocacy con forme di pressione positiva sui decisori (istituzioni, governi, partiti, organismi internazionali), sull’opinione pubblica e sui media, coinvolgendo la società civile, al fine di incidere sulle decisioni e ottenere riforme, nuove leggi, cambiamenti di politiche o di pratiche sociali. Basta un messaggio sbagliato per compromettere un’azione di advocacy, anche se meritoria. Come d’altra parte non basta protestare e condannare, senza al contempo sforzarsi di presentare e comunicare, motivandole, proposte credibili o visioni alternative basate sui nostri valori, le nostre valutazioni, la nostra esperienza e azione.
Lo stesso vale per le attività di fundraising. Anche se la finalità è economica, non politica o culturale – cioè garantire le risorse necessarie per le attività – la comunicazione è cruciale per convincere i donatori a sostenere la causa. Troppo spesso – talvolta a causa di ristrettezze di budget – pensiamo di poter perseguire, mescolandole in contemporanea, le finalità di comunicazione, advocacy e fundraising; con il serio rischio di non riuscire a fare né comunicazione, né advocacy, né fundraising.
Tutto questo richiede una comunicazione mirata, con obiettivi chiari e finalità definite, diceva Nino, che aveva fatto della comunicazione la sua specializzazione e la sua professione.
2. L’uso delle immagini nel fundraising.
E’ un tema che, dal 2010 in poi, è stato particolarmente approfondito dall’AOI, con Nino Santomartino tra i promotori della riflessione, e da LINK 2007. Si intendeva affrontare una questione etica cruciale: la coerenza comunicativa e l’uso ricorrente di immagini strazianti e stereotipate – in particolare di bambini africani – nelle campagne di raccolta fondi. Immagini e messaggi, normalmente presentate di “estrema urgenza”, usati per provocare emozioni e indurre alla donazione, spesso senza dare il dovuto peso – a nostro avviso – alla coerenza con la più ampia comunicazione istituzionale e agli effetti negativi che ne potevano derivare. Li avevamo così raggruppati:
• pornografia del dolore e strumentalizzazione della sofferenza;
• semplificazione e distorsione della realtà, particolarmente quella africana, ridotta a immagini di miseria e disperazione;
• assuefazione alle immagini pietistiche di fame e dolore mostrate di continuo, che producono una forma di disperazione cronicizzata, che non suscita più indignazione ma rassegnazione.
• mancanza di rispetto della dignità dei soggetti rappresentati, specie dei minori, e uso dell’immagine shock perché “funziona”.
Negli anni, alcune OSC hanno mostrato seri progressi, adottando decisamente forme comunicative più rispettose e autentiche, ma le osservazioni di allora valgono in parte ancora oggi.
E’ del 2015 l’articolo di Nino su Vita “Raccolta fondi e immagini shock, quale punto di equilibrio”, che analizza il tema, anche sulla base di precedenti tentativi settoriali di autoregolamentazione.
Va evidenziata la caratteristica di questo e di tutti gli scritti di Nino: il tono sempre conciliante e propositivo, anche di fronte a posizioni contrapposte. Mettendo in priorità sempre la volontà di tessere e sviluppare relazioni positive.
Riprendo quell’articolo per punti sintetici:
• Queste pratiche dividono: per alcuni “mostrare la realtà” serve a mobilitare donazioni; per altri è “pornografia del dolore”.
• Occorre superare le polemiche e passare a regole condivise.
• Propone quindi la creazione di un gruppo di lavoro nazionale tra Ong, professionisti della comunicazione e istituzioni.
• Rilancia l’idea di un Codice di condotta etico, evoluzione del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale dello IAP, Istituto Autodisciplina Pubblicitaria, esteso a pieno titolo al non profit.
Faceva emergere cioè la proposta di costruire una base normativa condivisa per la comunicazione etica delle Ong.
Nel 2016 nasce così il Tavolo sull’utilizzo delle immagini nelle campagne di comunicazione sociale e di fundraising tra AOI, LINK 2007 e alcune associazioni di categoria del mondo della comunicazione e del fundraising (AIAP, EU Consult Italia, Istituto Italiano della Donazione, UNICOM).
Un anno dopo, nel 2017, AOI e LINK diventano le prime realtà non profit ad aderire all’Istituto di autodisciplina pubblicitaria IAP, sancendo un passo storico, a testimonianza della volontà degli operatori delle OSC di dotarsi di un codice di autodisciplina per una comunicazione sempre più etica, rispettosa della dignità umana e corretta nei confronti delle persone e delle comunità coinvolte.
L’analisi di Nino del 2015 l’ho ripresa nel 2023, sempre su Vita, evidenziando come fosse difficile per alcune realtà del nostro mondo accettare un discorso di autoregolamentazione da rispettare. E riponevo la domanda: “Perché le Ong solidaristiche dovrebbero arrogarsi il diritto di comunicare nel modo che ‘rende di più’ per la raccolta fondi, senza alcuna regola definita e condivisa? Perché possono trasmettere immagini dell’Africa che favoriscono il mantenimento di un’idea negativa di questo continente?
In qualche organizzazione – sottolineavo – sembra emergere una ‘dittatura’ dei fundraiser. Gli esperti di raccolta fondi sembrano infatti prevalere talvolta sugli esperti di umanità e di sviluppo integrale. Eppure, nelle OSC dovrebbero prevalere questi ultimi, consigliati dai fundraiser ma senza subirne condizionanti influenze.”
Nonostante i grandi passi avanti nel nostro mondo, penso che queste osservazioni possano valere ancora oggi.
Ben venga una nuova riflessione collettiva su questi temi. Nino auspicava – sono le sue parole – “una comunicazione condivisa, nel senso di “fare insieme”, di condivisione di esperienze, di proficue contaminazioni. Una comunicazione che sia frutto di percorsi, prassi e saperi condivisi, perché la comunicazione non è un lavoro per solitari.”
Riprendere oggi le riflessioni di Nino significa continuare a credere che la comunicazione sociale, se guidata dal rispetto e dal bene comune, resta uno degli strumenti più potenti di cambiamento. Uno strumento che abbiamo e che dobbiamo utilizzare al meglio.
