Finalmente qualche notizia di Alberto Trentini, cooperante veneto di 45 anni, imprigionato in Venezuela tre mesi fa, mentre provvedeva all’invio di aiuti umanitari a persone con disabilità. Secondo quanto scrive l’ANSA c’è una prova certa che conferma le sue buone condizioni. Si tratta di una fonte qualificata, che resta anonima, su un canale che tiene aperto un dialogo con le autorità venezuelane.
Alberto era arrivato in Venezuela un mese prima, con la ong Humanity & Inclusion. Prima di allora era stato in Bosnia-Erzegovina, Libano, Etiopia, Nepal, Perù, Paraguay, Ecuador, Colombia, alternando impegni con la Cooperazione italiana, Danish Refugee Council e altre organizzazioni della società civile quali Cefa, Coopi e Focsiv, con la quale ha iniziato il suo percorso nel 2006, in servizio civile nella città ecuadoriana di Esmeraldas.
È ora che Alberto ritorni a casa. “Nel pieno rispetto della sovranità territoriale del governo bolivariano e senza voler interferire nella diplomazia delle relazioni tra Italia e Venezuela – si legge nel comunicato dell’avvocato della famiglia Trentini, Ballerini – invochiamo l’attenzione di tutte le Istituzioni dei due Paesi circa la drammatica situazione di Alberto Trentini e chiediamo la sua liberazione affinché possa tornare a casa e all’affetto dei suoi familiari e amici”. Anche AOI, CINI e LINK2007 si sono subito unite alla richiesta della famiglia Trentini appellandosi “al Governo italiano affinché intensifichi gli sforzi diplomatici per riportare Alberto in Italia e garantirne l’incolumità”.
Di fronte a drammatiche situazioni come questa che sta ferendo Alberto, i suoi familiari e tutti noi operatori delle Osc, è giusto volere e pretendere soluzioni rapide.
Nelle situazioni di crisi umanitaria ho avuto modo di seguire, talvolta direttamente, sequestri di operatori umanitari, a partire da quelli di Intersos in Cecenia nel 1996, fino a quelli di altre organizzazioni, in particolare in Iraq e Somalia. Venticinque anni prima, in Ciad, ho affrontato le istituzioni governative per ottenere l’uscita dal carcere di un confratello francese. Ho potuto rendermi conto che ogni contesto è diverso e va affrontato in modo specifico.
La tensione, le difficoltà e i dubbi sulla gestione della situazione possono rendere necessaria la discrezione mediatica. Possono anche imporre un rallentamento, permettendo di affrontare ogni passaggio con maggiore calma e attenzione, evitando l’affanno di una fretta pur necessaria. In Intersos abbiamo comunque imparato che, anche quando fosse richiesto il silenzio stampa, è necessario esercitare una certa pressione e, quando possibile, forme di ‘controllo’ sull’operato delle istituzioni preposte. Una pressione rispettosa ma anche continuativa e diffusa.
Non perché vi sia una mancanza di considerazione per gli operatori umanitari, che in virtù della loro indipendenza, neutralità e imparzialità non rappresentano specifiche opzioni partitiche o particolari interessi nazionali. Bensì perché una pressione ben calibrata aiuta chi opera realmente, nel silenzio, per la liberazione di persona sequestrate o imprigionate e per la salvaguardia della loro vita; senza tregua.
L’invito è quindi quello di continuare gli appelli, in modo da far sentire la nostra voce ad Alberto, attraverso il contatto rivelato dall’ANSA, ed alle nostre istituzioni perché continuino ad operare ‘senza tregua’ per riportarlo a casa.
Pubblicato in: VITA NON PROFIT