Molti si chiedono se il piano Mattei possa avere successo. La domanda è sensata perché, con l’enfasi politica posta, l’Italia gioca parte della propria credibilità internazionale. La risposta potremo averla solo nel prossimo futuro, dato che si è ancora nella fase iniziale. Si conoscono le grandi linee che ne esprimono il significato e le intenzioni (“una pagina nuova nella storia delle nostre relazioni, una cooperazione da pari a pari, lontana da qualsiasi tentazione predatoria”); è stata costituita la Cabina di regia che dovrebbe definire le linee di indirizzo e predisporre le “piattaforme programmatiche condivise” con gli Stati partner; si conoscono i fondi inizialmente allocati, basati sugli stanziamenti già finalizzati alla cooperazione allo sviluppo e agli impegni internazionali per il clima; si stanno avviando i progetti concordati con nove paesi africani nei settori istruzione-formazione, salute, agricoltura, acqua, energia.
Non si intravede ancora alcuna strategia complessiva che possa chiarire, rispetto alla cooperazione dell’Italia degli ultimi decenni, cosa si intenda per cooperazione da pari a pari, non predatoria. Il punto non è neutro perché definisce la qualità del partenariato. Che può attuarsi in un cammino condiviso di crescita e progresso nel reciproco interesse e beneficio e nell’affermazione dello stato di diritto e della pari dignità umana, sociale e politica; oppure in uno mero scambio tra “nazioni che lavorano insieme per crescere insieme, per avere entrambe benefici”. C’è da supporre – e sperare – che trattandosi di “una pagina nuova” sia la prima ipotesi a qualificare il Piano.
La vera novità sta comunque – e non è poco – nella risoluta decisione governativa di uno speciale partenariato con il continente che confina con l’Italia e l’Europa attraverso il condiviso Mediterraneo e nell’invito all’Ue e alle istituzioni internazionali ad assumere altrettanta determinazione. Di fronte alle nuove dinamiche mondiali i singoli Stati europei sono destinati a perdere progressivamente peso politico ed economico se non sapranno superare la visione intergovernativa per puntare all’Unione federale con un ben diverso peso politico ed economico e valori condivisi. Che troverebbe nuova credibilità anche nei rapporti con l’Africa che sta guardando ad altri continenti mentre l’Italia e l’Europa stanno scoprendo di averne bisogno, e non solo per la transizione energetica, come e forse più di quanto l’Africa avrà bisogno dell’Europa nei prossimi decenni.
Il reciproco interesse è ampio. Da un lato, secondo stime Onu, nel 2050 la popolazione subsahariana sarà cresciuta di oltre 900 milioni e raggiungerà i 2,1 miliardi con un’età media intorno ai 20 anni, mentre nello stesso periodo l’Europa e l’Italia vivranno un preoccupante declino demografico. Saranno quindi necessari centinaia di migliaia di lavoratori, molti dei quali arriveranno dall’Africa attraverso ingressi concordati, finalmente consapevoli che la più efficace lotta al traffico di esseri umani è rappresentata dagli ingressi legali. Dall’altro lato, la crescita demografica africana reclamerà diffusa formazione e creazione di posti di lavoro dignitosi e di infrastrutture diffuse. Si tratta di un partenariato che richiederà il coinvolgimento delle competenze del sistema Italia: università, imprese, enti della società civile, enti territoriali, ong di cooperazione allo sviluppo, organizzazioni delle diaspore africane che rappresentano un ponte di dialogo privilegiato.
Un sistema di competenze che dovrà sapersi integrare, in un partenariato di medio-lungo periodo, con le necessità e aspettative di un continente in rapido cambiamento. Lo richiede la complessità dei temi connessi all’attuazione del Piano, quali la sicurezza energetica, le fonti di approvvigionamento nel processo di transizione, le energie rinnovabili, le materie prime critiche; l’immigrazione e la mobilità umana, da governare con intelligenza, giustizia e umanità come realtà strutturale permanente; la crescita demografica e giovanile africana e il parallelo inesorabile declino demografico e invecchiamento europeo; le regole del gioco, compresi quei meccanismi del commercio internazionale e della finanza speculativa che generano crescenti squilibri, sopraffazioni e sofferenze; l’indifferibile riduzione del peso del debito.
Il successo del Piano richiederà la massima coerenza e lo sguardo largo e lontano, senza limitarsi all’interesse immediato, troppo spesso miope e poco sostenibile.
Pubblicato da Il_Riformista_27.04.2024_pag. 3